Estrattivismo

Della sistematica e aggressiva rapina delle risorse naturali, sociali ed economiche per mano del capitale .

Quando parliamo di estrattivismo intendiamo i processi con cui il capitale estrae e si appropria, per farne profitto, di risorse naturali (ad es. petrolio, gas, terre rare, acqua, suolo) che sono necessarie per la sopravvivenza e il benessere delle collettività viventi e dell’ecosistema.  Tali beni, che Marx chiama i “doni gratuiti della natura”, costituiscono di fatto una ricchezza collettiva, di cui il capitale continua a privarci: un vero e proprio furto per cui non solo chi ci guadagna non paga, ma i cui costi, ecologici e sociali, sono scaricati sulla collettività e sull’ambiente. 
È quello che succede, ad esempio, nella Terra dei fuochi, in Val d’Agri, a Gela, Ravenna, Taranto, Val Susa, solo per citare alcuni luoghi. Quello che rischia di avvenire a Piombino, Mazzè e Otranto (di nuovo). In ognuna di queste terre la peculiare modalità di sfruttamento imposta viene venduta come necessaria, inevitabile, strategica per l’intero territorio nazionale, salvifica in quanto portatrice di  ricchezza e di posti lavoro. Quello che invece si lascia alle spalle, ormai abbiamo imparato, è invece: ancora più povertà, ambienti insalubri, tumori, devastazione. Questo processo di estrazione e valorizzazione non ha limiti: il capitale infatti ricerca solo il guadagno immediato, senza alcuna preoccupazione per le catastrofiche conseguenze sull’umanità e sul suo mondo.
Il concetto di estrattivismo, però, può essere ampliato anche a quei processi attraverso cui il capitale si appropria della ricchezza socialmente prodotta: anch’essa, infatti, invece che essere a disposizione di tutte/i, viene privatizzata a vantaggio di pochi.
Un esempio classico è il “data-mining”, ovvero la raccolta e vendita, da parte dei colossi dell’high-tech, delle informazioni che continuamente produciamo. Ci sembra però proficuo osservare sotto la logica dell’estrattivismo anche la peculiare modalità con cui le politiche dei grandi eventi permettono di attingere, a fini di lucro, a quelle risorse collettive, tanto materiali (gli spazi e le infrastrutture delle nostre città) quanto “immateriali” (il lavoro volontario, mobilitato da una distorta idea di cura del proprio territorio e di partecipazione alla vita della città). Anche in questo caso, infatti, le risorse sociali sono gratuitamente a disposizione per il profitto di pochi, mentre i costi sono ampiamente scaricati sulla collettività e sulla fiscalità cittadina.
Ancora, ci sembra di poter leggere delle analogie nella forma che lo sfruttamento assume nell’alternanza scuola-lavoro e negli stage non pagati: qui, al di fuori di qualsiasi contrattazione, al di fuori di qualsiasi riconoscimento, energie e vite di studentesse e studenti vengono gratuitamente messe a disposizione dei datori di lavoro, che ne attingono senza limiti fino alle estreme e a volte tragiche conseguenze.
Tenere insieme queste forme di sfruttamento sotto la lente dell’estrattivismo ci offre un utile strumento di analisi e comprensione della produzione di ricchezza nel capitalismo contemporaneo, ma ancora di più ci può servire ad immaginare ed intessere alleanze strategiche di ampio respiro.
Nella nostra città, ad esempio, vogliamo testare la possibile convergenza delle lotte ambientaliste ed ecologiste, come quella per la gestione dell’acqua, dei movimenti studenteschi contro l’alternanza scuola-lavoro, dei collettivi di quartiere che si battono contro le speculazioni e le politiche dei grandi eventi, delle lotte storiche per il diritto a decidere sui propri territori, come quella NO-TAV in Val di Susa.
Al tavolo parteciperanno sia studiose/i che hanno analizzato questi concetti da un punto di vista teorico, sia esperienze territoriali di lotta, nell’ottica di mantenere sempre saldo il legame tra teoria e prassi che solo, di fronte alla desolazione a cui ci vorrebbe costringere il capitale, ci permette di immaginare e adoperarci per un mondo altro.